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Teoria

 Introduzione

Sfagno di qua, sfagno di la'... quante volte abbiamo sentito parlare di 'sto benedetto sfagno? I novizi si chiedono cosa cavolo sia, i coltivatori ai primi passi sanno a malapena che si tratta di una specie di muschio, i piu' smaliziati sanno anche com'e' o lo hanno visto, mentre i veterani lo coltivano con successo. Spesso l'esperienza con le piante carnivore va di pari passo con la conoscenza di questo misterioso fantasma.

Lo sfagno e', in effetti, una specie di muschio. Un muschio come tanti altri, agli occhi di una persona normale. Cio' che rende lo sfagno molto importante agli occhi dei coltivatori di carnivore e' la sua azione quasi miracolosa nei confronti delle piante e specialmente delle plantule dei semi e delle talee.

Intendiamoci bene, lo sfagno non e' un elemento necessario nella coltivazione di tutte le piante carnivore, e ne e' prova il fatto che alcuni coltivatori di successo non ne adoperano nemmeno una singola fibra. E', pero', un elemento d'aiuto sicuramente fondamentale nella coltivazione di molte specie, quel classico fattore che fa andare bene le cose quasi automaticamente. Una specie di jolly che da solo assolve diversi compiti fondamentali nella coltivazione di carnivore: riserva d'acqua, raffreddamento temperatura del terreno, azione antifungina, creazione di un microambiente ad altissima umidita', stimolazione della crescita, protezione da pioggia e dilavamento... insomma, una panacea.
Il fatto che molte carnivore reagiscano in maniera addirittura miracolosa alla presenza dello sfagno non ha in realta' niente di magico o "misterioso". In natura, infatti moltissime specie si sono adattate, o per lo meno "abituate" da centinaia di migliaia d'anni, a vivere associate allo sfagno. Il fatto strano o innaturale, quindi non e' tanto associare le carnivore allo sfagno, quanto invece coltivarle senza sfagno.

Questo muschio miracoloso ha pero' un difetto: non e' facile da trovare ed e' spesso piuttosto viziatello se non lo si conosce bene. Scopo di questa pagina e' appunto fornire i mezzi di base per poter coltivare sfagno in quantita' come fosse gramigna, per poi utilizzarlo con le nostre amate carnivore.


 Sistematica

Un piccolo aiuto alla nostra tecnica di coltivazione dello sfagno ci puo' essere dato da una rapida occhiata alla sistematica di questa curioso gruppo di vegetali. La sistematica cerca di determinare, attraverso considerazioni ed analisi di vario tipo, la parentela tra gli organismi, e di avere quindi un quadro sulla complessita' o primitivita' di una dato organismo e di somiglianze tra gruppi di organismi differenti.

Dando un'occhiata a questo schema, possiamo vedere com'e' organizzata la sistematica degli organismi vegetali a grandi linee. La primissima divisione degli organismi vegetali e' tra Tallofite (organismi molto primitivi e semplici, senza fusto, foglie o radici, come le alghe), Briofite (organismi leggermente piu' complessi, ma sempre primitivissimi, con foglie e fusto poco specializzati e privi di radici vere e proprie), e Cormofite (piante con cormo, cioe' provviste di radici, fusto e foglie specializzati).
Lo sfagno appartiene ad una delle due divisioni ancora esistenti delle Briofite: Epatiche e Muschi. Le Epatiche sono quelle strane e piccole forme vegetali composte da lamelle striscianti a ventaglio, che portano sulla faccia superiore come dei piccoli bicchieri e sulla faccia inferiore dei fasci di rizoidi (non sono radici) somiglianti a capelli. I muschi, li conosciamo tutti, si sono specializzati in diversissime forme, ed hanno colonizzato moltissimi ambienti, ma a causa della loro primitivita' sono legati spesso a ben determinate condizioni di umidita' e luce. Lo sfagno non fa differenza.
Dal lato opposto, invece, le Cormofite, piante a struttura piu' complessa, piu' moderne e di successo, si sono differenziate molto piu' profondamente, e in diverse "fasi". La prima profonda differenziazione in cui si possono dividere e' tra piante "a spora" (Pteridofite, le felci) e piante con semi e fiori (Fanerogame), successivamente le Fanerogame, a loro volta di maggior successo e piu' moderne delle Pteridofite, si sono divise in Gimnosperme (piante con semi "nudi") e Angiosperme (con fiori e frutti). Dobbiamo aspettare una successiva evoluzione e differenziazione di queste ultime in Dicotiledoni e Monocotiledoni per arrivare alle piante carnivore (che sono dicotiledoni piu' o meno arcaiche a seconda del genere).
Salta quindi subito all'occhio come in effetti ci siano ben poche cose in comune tra Sfagno e Sarracenia, un po' come le cose in comune che possiamo avere noi con delle meduse. Lo sfagno e' quindi molto piu' primitivo di qualsiasi pianta superiore, molto piu' simile alle alghe che non alle drosere. Proprio questa sua primitivita' e' insieme motivo dei tanti vantaggi e delle debolezze che questa classe di vegetali ha.
Per concludere, quindi, il genere Sphagnum appartiene al grande gruppo delle Briofite-Muschi, e' ubiquitario e diffuso su tutto il globo, ed e' tipico di ambienti con livelli d'acqua superficiale, o saltuariamente allagati. Necessita di continua presenza di acqua dolce, e spesso si presenta in zone a torbiere acide, tipiche di regioni subpolari o temperato-fredde e di ambienti montani. Il genere annovera moltissime specie al suo interno, tra cui S. auriculatum, S. fallax, S. magellanicum, S. fuscum, S. cuspidatum, S. capillifolium solo per citarne alcuni. Come per le piante superiori, anche nel genere Sphagnum le diverse specie possono avere comportamenti e necessita' ambientali molto diverse tra loro. L'importanza capitale dello sfagno, a livello ambientale e' data dal fatto che lo sfagno e' responsabile della formazione di torba, elemento essenziale per molti terreni e per un gran numero di specie di piante superiori, erbacee o arboree (comprese molte specie di carnivore).


 Morfologia

Senza entrare in dettagli di morfologia fine, diamo ora un'occhiata alla morfologia grossolana, ad occhio nudo, di un piccolo filamento di Sfagno.
Un filamento di sfagno, a occhio nudo puo' essere diviso facilmente in 3 sezioni, che per semplicita' chiameremo testa (barra in colore verde), fusto (arancio) e piede (bianco-beige).
A seconda della specie e dell'illuminazione, le 3 sezioni possono presentarsi in maniera diversa da come appare nel disegno. Normalmente la testa e' la parte apicale, predominante, ingrossata, con molte foglie addensate verso il centro, spesso molto imbevuta d'acqua e vellutata al tatto. Il fusto e' la parte filamentosa, verdina o arancio, spesso sbiadita nel colore, che parte da sotto la testa. Il piede, e' la parte profonda del fusto, si presenta sempre di colore biancastro-giallastro, puo' essere lungo anche diversi decimetri e deve essere sempre a contatto con l'acqua.
Normalmente lo sfagno cresce in verticale. La testa si allunga verso l'alto, generando nuovo fusto sotto di se'. Il fusto a sua volta, rimane verde fintanto che ha luce a sufficienza. Quando, con la crescita della testa, la luce diventa insufficiente, il fusto perde il suo colore verdino o arancio e diventa bianco pallido. A seconda dell'intensita' di luce e dell'addensamento dei vari filamenti di sfagno la lunghezza del fusto puo' andare da 1cm (poca luce, filamenti di sfagno molto compatti) ad anche 10 centimetri (luce molto forte e filamenti di sfagno non compatti tra loro).
La divisione tra testa, fusto e piede non e' casuale. Queste 3 parti infatti reagiscono in maniera diversa alla coltivazione e al trapianto, e a seconda dell'utilizzo a cui e' destinato lo sfagno dovremo via via considerare queste parti separatamente.
Ultimo cenno sulla morfologia e' la presenza occasionale sullo sfagno di strani cilindri lucidi, neri o marroni, a volte rossi, alti 1-2mm e di diametro inferiore al millimetro. Si trovano all'apice di foglie nella sezione della testa di un filamento di sfagno. Questi cilindri rappresentano il meccanismo di riproduzione dello sfagno, e sono prodotti solo in condizioni veramente ottimali, sia di crescita, che di illuminazione e temperatura.


 Fisiologia

Anche qui tralasciando la fisiologia canonica della botanica e della biologia, consideriamo solo alcuni fattori fondamentali per la crescita e la coltivazione del nostro sfagno, spulciando tra alcuni lavori scientifici pubblicati negli ultimi anni.
Il primo, forse l'unico elemento fondamentale per tutte le specie di Sphagnum e' senz'altro l'acqua. Organismi vegetali particolarmente primitivi, gli sfagni possono essere considerati a meta' strada tra le alghe acquatiche e le piante terrestri evolute tipo pini o gramigna. Se da un lato lo sfagno resiste bene all'aria, al vento, al sole diretto anche per parecchie ore al giorno, dall'altro non puo' vivere senza ricevere un continuo e consistente apporto d'acqua. La struttura interna di un filamento di sfagno, infatti, e' in pratica quella di un tubo vivente, specializzato per trasportare acqua dal basso (raccolta dal piede) verso l'alto (testa, punto di crescita attiva) e per accumularla in caso di siccita'. Se prendete un mazzetto di sfagno in mano e provate a strizzarlo e bagnarlo di nuovo, vi accorgerete della sua somiglianza con una spugna.
Altri elementi fondamentali per la corretta crescita dello sfagno sono una corretta illuminazione, un fotoperiodo adeguato, temperature minime sopra lo 0'C e assenza di contaminanti e inquinamento.
Esistendo diverse specie di Sphagnum, non si puo' fare una descrizione delle condizioni perfette per tutti i tipi di sfagno. Alcuni studi condotti in Scandinavia e in Russia hanno pero' evidenziato come acque leggermente acide e un fotoperiodo allungato ottengano una crescita di sfagno piu' veloce e compatto. In sintesi, un pH leggermente acido aiuta, ma solo qualora quest'acidita' non sia dovuta ad acidi inquinanti come acido solforico. In presenza, infatti, di contaminanti quali Cloro e SO42- si assiste ad un deciso rallentamento del ritmo di crescita dello sfagno.
Acque molto calcaree o ricchi in minerali non solo non portano ad alcun aumento della crescita, ma a volte possono invece essere limitanti. A seconda delle specie e dell'ambiente, a volte si sono ottenuti risultati molto positivi con una fertilizzazione a base di azoto e fosforo (Aerts R., Wallen B., Malmer N.: J. ECOL. 1992. vol. 80, no. 1, pp. 131-140, ed altri studi) ma spesso l'esplosione algale causata da fertilizzazione a base N/P contrasta la crescita dello sfagno. D'altro canto invece un notevole aumento di crescita con minore rischio di esplosione algale e' stato ottenuto mediante fertilizzazione via anidride carbonica disciolta in acqua (Paffen B.G.P., Roelofs J.G.M.: AQUAT. BOT. 1991. vol. 40, no. 1, pp. 61-71), o attraverso l'adozione di una fertilizzazione leggera, in ambiente acido (pH 5.8), mediante una soluzione di NPK ed altri elementi a concentrazioni studiate ad hoc (Rudolph H., Voigt J.U.: Physiologia-Plantarum. 1986, 66: 2, 339-343): concentrazioni in muM: 55 Na+, 17 K+, 95 NH4+, 22 Ca2+, 22 Mg2+, 2 Fe3+, 20 Cl-, 100 NO3-, 57 SO42-, 7.4 H2PO4-, soluzione di elementi in traccia A-Z Hoagland 50 mul per litro; pH 5.8.
Anche la luce e' un elemento fondamentale, ma esistono specie di Sphagnum molto diverse a questo proposito, alcune rigogliose solo in luce solare diretta per parecchie ore, altre solo in penombra. In generale, un'illuminazione media o forte, ed una esposizione diretta anche per parecchie ore alla luce del sole non e' pericolosa se accompagnata da una notevole disponibilita' d'acqua. Personalmente ho ottenuto i migliori risultati con esposizioni a Nord, Nordest od Est, o con una leggera ombreggiatura.
Il fotoperiodo sembra influenzare solo alcune specie, ma in maniera anche profonda, causando in alcuni casi una stasi vegetativa, specialmente se un breve fotoperiodo e' associato a basse temperature notturne (tipici eventi invernali). Data la difficolta' nel determinare le specie di sfagno, l'unica soluzione per trovare il corretto fotoperiodo e' lasciare lo sfagno esposto alla luce naturale e misurarne la crescita durante l'anno. Normalmente piu' lungo e' il fotoperiodo piu' abbondante e' la crescita di sfagno.
Nel caso di sfagno crescente su letti di torba, la costituzione della torba puo' essere un fattore limitante o meno. Normalmente torbe leggermente acide e prive di ogni forma di fertilizzante o contaminante sono ritenute esaltare la crescita dello sfagno.
Un fattore importante collegato all'acqua e' il livello idrico. Mentre tutte le specie di sfagno hanno bisogno di avere il piede a contatto con l'acqua, alcune specie crescono meglio con un fusto alto e un livello dell'acqua a 10cm o anche 20cm dalla testa. In generale comunque quasi tutti gli sfagni proliferano bene con il livello dell'acqua alto, quasi a livello della testa. A questo proposito pero' c'e' da tener presente che se da un lato un alto livello idrico stimola la crescita dello sfagno, l'acqua (schermando molto la luce e riducendo il tenore di gas presenti) causa un soffocamento del fusto immerso dello sfagno, fusto che quindi va incontro a morte e trasformazione in piede biancastro molto rapidamente. Con un alto livello idrico, quindi, si ottengono sfagni a crescita piu' rapida, ma fusti molto piu' corti e piedi piu' lunghi.
In generale, comunque molti studi concordano nel ritenere che un fotoperiodo allungato (14-16 ore), temperature medio-alte (con minime notturne superiori a 5'C) e una grande disponibilita' d'acqua pura e leggermente acida siano i fattori che influenzano positivamente la crescita dello sfagno (ad es. Campeau S., Rochefort L.: J. APPL. ECOL. 1996 vol. 33, no. 3, pp. 599-608).
Viceversa, condizioni avverse portano spesso al blocco della crescita dello sfagno. Un pH molto basico puo' causarne morte morte e marcescenza, ma, peggio di qualsiasi altra cosa, e' la siccita' prolungata, specialmente se accompagnata ad alta temperatura e ad esposizione a luce solare diretta. La siccita' infatti causa un "imbianchimento" delle fibre di sfagno, ed un avvizzimento assolutamente irreversibile. Se da un lato questo muschio e' abbastanza robusto ed e' difficile che le condizioni di una torbiera casalinga mutino cosi' velocemente da avvelenare in pochi giorni o settimane un florido tappeto di sfagno, una siccita' anche di un paio di giorni, specialmente se in giornate torride e sotto la luce diretta del sole, puo' portare alla morte totale e irreversibile di qualsiasi tappeto di sfagno.


 Utilizzo

Lo sfagno vivo ha diversi utilizzi florovivaistici, ma e' particolarmente fondamentale per chi, come noi, si appassiona di piante carnivore, spesso provenienti da paludi, torbiere, spazi allagati o ambienti comunque dove l'umidita' e' altissima e dove l'acqua e' fondamentale.
Lo sfagno prima di tutto rappresenta una scorta d'acqua dinamica di particolare importanza. Infatti, lo sfagno vivo riesce non solo a trasportare una notevole quantita' d'acqua in maniera molto capillare, ma riesce ad accumularla quand'e' in eccesso e a rilasciarla lentamente quando manca. Cio' lo rende ottimale per esempio per fornire acqua e mantenere umide anche per molto tempo piccole piante, talee, semi. Inoltre, essendo un organismo vivo, lo sfagno effettua anche una rielaborazione dell'acqua, assorbendo nutrienti in eccesso o inquinanti e arricchendo invece l'acqua di sostanze organiche utili alle piante superiori.
In diversi studi si e' visto come, a parita' di altri fattori, un gran numero di piante con germinazione particolarmente difficoltosa, germinino meglio e riescano a crescere piu' velocemente se e' presente un tappeto di sfagno vivo.
Oltre a questa funzione legata al bilancio idrico, lo sfagno esercita una notevole azione antifungina ed antimicotica. Cio' e' dovuto principalmente a tre fatti. Primo, essendo un organismo fotosintetizzante, lo sfagno rilascia una gran quantita' di ossigeno, cosa questa che e' letale per alcuni batteri ed agenti patogeni. In secondo luogo spesso lo sfagno ospita alcuni microorganismi simbionti che secernono a loro volta sostanze antifungine ed antimicotiche. Infine, molte delle sostanze rilasciate dallo sfagno e dalla decomposizione dello sfagno (torba) abbassano notevolmente il pH e generano un pool di acidi umici e tannici che nel complesso creano un microambiente fortemente antimicotico e batteriostatico.
Altro fatto senz'altro importante, alcuni studi sembrano dimostrare che lo sfagno, o alcuni organismi simbionti dello sfagno, produca una certa quantita di acido indolacetico (auxina) ed altre sostanze organiche che stimolano la crescita delle piante superiori, inoltre la struttura stessa dello sfagno permette un rapido attecchimento di talee e di plantule da seme, in quanto fornisce un'impalcatura per le giovani radichette, che trovano subito acqua in gran quantita' e protezione da infezioni.
Ulteriore vantaggio e' rappresentato dal fatto che lo sfagno vivo, se mescolato al substrato dei vasi, li rende molto meno compatti e "chiusi", facilitanto ricircolo d'aria e acqua, ed evitando pericolosi fenomeni di asfissia, letali, per esempio, per le Nepenthes.
Anche una volta morto, inoltre, lo sfagno rappresenta una notevole risorsa. Le fibre biancastre, infatti, lasciate seccare al sole, si trasformano in un materiale chiaro e fibroso, molto morbido, che aggiunto al substrato dei vasi rende il terreno molto piu' aereato e ventilato, continuando a rilasciare sostanze utili.
L'utilizzo di sfagno nella coltivazione di piante carnivore rappresenta quindi un aiuto molte volte insostituibile e fondamentale, specialmente nel caso di specie amanti dell'umidita' e che richiedono un continuo e notevole apporto d'acqua.
Oltretutto, a mio parere, e' anche esteticamente molto carino.


 Controindicazioni

Per la sua stessa natura, lo sfagno puo' essere ottimo per alcune piante, ma non per altre.
Prima di tutto, lo sfagno vivo non puo' essere usato con piante che non amino ambienti fortemente umidi. Piante di questo tipo soffrono a causa del continuo contatto "bagnato" con lo sfagno.
Altra controindicazione, lo sfagno genera normalmente un ambiente leggermente acido, o decisamente acido se in presenza di un letto di torba acida. Cio' e' letale nel caso di piante amanti di terreni calcarei come alcune specie di Pinguicula.
Inoltre, spesso le fibre di sfagno, specialmente in condizioni ottimali, crescono talmente in fretta da superare e soffocare piante piccole o a crescita lenta. Laddove ci sia questo problema un'ottima soluzione consiste nello sminuzzare lo sfagno in minuscoli frammenti, che resteranno comunque vivi, ma cresceranno molto piu' lentamente, evitanto quindi di soverchiare le altre piante.
Altra soluzione al problema di una crescita troppo rapida dello sfagno rispetto alle piante che vi sono piantate consiste nel tenere il substrato un po' meno "umido". Infatti lo sfagno cresce in maniera velocissima quando ha molta luce e molta acqua. Riducendo l'acqua rallenta parecchio.


 Sporotricosi

L'ultima controindicazione riguarda un remoto pericolo per la salute dell'uomo. Visto che con questa pagina promuovo l'uso, la coltivazione e la moltiplicazione dello sfagno, mi sono sentito la responsabilita' di mettervi al corrente di questa patologia.

Prima di tutto, ho voluto evitare di dare ascolto alle molte voci piu' o meno terrorifiche che si sentono e mi sono informato presso la libreria medica internazionale, dove sono raccolti dati clinici e scientifici riguardanti ogni tipo di patologia umana. Io non sono un dottore, quindi non prendete queste informazioni come dato sicuro, ma solo come chiacchiera da bar.

Esistono dati certi circa un fungo, chiamato Sporothrix schenckii, che vive spesso a stretto contatto con le fibre di sfagno vivo (come pure di molte altre specie vegetali). Questo fungo e' l'agente eziologico di una patologia umana nota come "Sporotricosi".

La sporotricosi e' una malattia umana rara.

Cio' che accade: questo fungo entra nell'organismo (per esempio attraverso una ferita profonda) e si annida nel derma, cioe' nello strato di tessuti sotto la pelle. La prima forma di infezione si manifesta di solito come una "ferita" o una "lesione" cutanea di aspetto insolito e che non cicatrizza normalmente. Se ignorata per molto tempo (mesi o anni) l'infezione puo' passare dallo stadio topico (cioe' lesione di piccola entita', localizzata in un punto preciso) allo stadio sistemico (cioe' infezione generalizzata, sparsa in tutto l'organismo). Sebbene la sporotricosi in stadio topico sia una malattia localizzabile e curabile nell'arco di alcune settimane, la malattia in stadio sistemico deve essere curata in maniera seria e spesso i focolai d'infezione devono essere rimossi per via chirurgica. Se la sporotricosi a livello sistemico non viene curata, si puo' arrivare a morte.

Ok, fatti scorrere abbondanti sudori freddi consideriamo alcune cose: primo, in casi estremi si muore anche di raffreddore; secondo, in piu' di dieci anni che coltivo piante carnivore e che sono a contatto (in rete) con migliaia di altri coltivatori in Europa e negli USA, ho sentito solo di un caso accertato di sporotricosi tra coltivatori di piante carnivore, a carico di una coltivatrice di un orto botanico statunitense, che si e' curata senza problemi nell'arco di poche settimane, mentre ho sentito piu' incidenti dovuti ad altro. In altre parole, e' piu' facile che vi sgozziate accidentalmente con le forbici usate per potare le Sarracenie.

Sebbene nella bibioteca medica internazionale siano citati vari e numerosi casi di sporotricosi in ogni parte del mondo, non c'e' alcun accenno a epidemie o a casi "generalizzati".

Cioe', toccare lo sfagno non significa morte certa ed immediata.

Quindi, utilizzando un minimo di buonsenso, analizziamo i fatti. Sto maledetto coso ha bisogno di entrare in profondita' nel derma per dare il via all'infezione, quindi a meno che non abbiate tagli profondi sulle mani (causati dagli strumenti con cui potiamo, o magari nel caso di persone che si mangiano le unghie) e' piuttosto inverosimile che si possa rimanere contagiati. Inoltre, qualsiasi persona sana di mente che si veda una piaga che non si cicatrizza, non penso che se ne resti la' tranquilla, ma penso si rivolgerebbe subito al medico.

Detto questo, e' buonsenso vedere le cose con il giusto distacco, ma senza ignorarle. Direi che se proprio vogliamo metterci l'anima in pace, ogni qualvolta maneggiamo dello sfagno, mettiamoci dei guanti di lattice (quelli tipo seconda pelle, biancastri, leggerissimi), comunemente in vendita nei supermercati. Piu' sotto sulla parte di pratica, alla voce "Cosa Serve", nella foto ci sono un paio di guanti di lattice, se volete sapere come sono fatti.
Sempre della serie "siamo prudenti", se non usiamo guanti di lattice per maneggiare lo sfagno, evitiamo di tagliarci e di metterci le mani in bocca, e, terminato il lavoro, laviamoci abbondantemente le zampette. Insomma, basta osservare alcune norme igieniche di base. Vi diro' che io (ed altri in Italia) abbiamo maneggiato per decenni sfagno vegetante a mani nude (e io mi mangio le unghie!) senza alcun tipo di conseguenza, quindi direi che non dovreste pensare allo sfagno come ad una entita' mortale al solo tocco.

Se nonostante tutto siete proprio voi la persona baciata dalla sfiga per essere contagiata da sporotricosi, appena notate delle lesioni o piaghe che non cicatrizzano, andate dal vostro medico e ditegli qualcosa del tipo "caro dottore, penso di avere la sporotricosi. E' una malattia molto rara ma e' gia' documentata per persone che, come me, stanno spesso a contatto continuato con sfagno di palude... Ah, e visto che c'e', esiste una cura per la sfiga?". Secondo gli articoli che ho letto, una cura a base di KI o di Itraconazolo risolve le infezioni topiche nell'arco di alcune settimane.

Se avete bisogno di altre informazioni, date un'occhiata alla pagina che l'ICPS (International Carnivorous Plant Society) ha dedicato alla Sporotricosi, cliccando qui.


 
             
 


Pratica

 Scopo
Eccolo qui a sinistra lo scopo di questa paginetta di pratica.
Realizzare una sfagnera, un contenitore dove lo sfagno possa proliferare a volonta' e possa poi essere utilizzato per svariati usi, da fondo per la germinazione delle Sarracenie, a terreno per migliorare la resa di talee di Dionaea, a complemento fondamentale per molte Drosere, a semplice elemento di corredo per giganteschi Cephalotus o Darlingtonie.
Cercheremo di vedere come ottimizzare la realizzazione di un letto di sfagno, rendendone minima la manutenzione, come "potare" lo sfagno, come moltiplicarlo, come colonizzare una nuova sfagnera, come produrre, a partire da poche fibre, degli interi cuscini di sfagno alti centimetri e centimetri.
Il tutto, possibilmente, applicato alla coltivazione di piante carnivore, e cercando di mantenere la spesa, l'ingombro e le difficolta' al minimo.



 Principio

Il principio che utilizzo nella costruzione di sfagnere e che e' descritto in questa pagina e' lo stesso che ho osservato in natura in varie torbiere e luoghi dove lo sfagno abbonda. In natura infatti lo sfagno cresce su acquitrini e laghetti e con gli anni forma dei cuscini, a volte giganteschi, che galleggiano sull'acqua e formano poi delle specie di isole di suolo sfagnoso e torboso su cui prosperano molte specie di carnivore.
Camminando su una torbiera (cosa a volte molto pericolosa), e' facile rendersi conto di come non si stia camminando affatto sulla terraferma, e di come si stia rischiando grosso... muovendosi si vede come quello che sembra un prato di sfagno poggiato su solida terra sia invece una zattera di sfagno galleggiante sull'acqua. Un passo falso in un punto poco "saldo" puo' sfondare il cuscino di sfagno vivo e farci ritrovare immersi fino al collo in una palude di acqua mista a sfagno in decomposizione e torba fangosa, se non addirittura direttamente sott'acqua, una situazione particolarmente pericolosa (alcuni fossili di animali -e persone- sono stati trovati appunto annegati in torbiere...).
Cerchiamo quindi di emulare la natura: la nostra sfagnera deve essere composta da un letto di torba coperto da sfagno vivo, e il tutto deve galleggiare sull'acqua. Riproduciamo quindi questo ambiente, servendoci del materiale che possiamo trovare al supermercato e al grossista florovivaistico dietro l'angolo.
L'idea e' quella di realizzare una specie isoletta di torba (che tenderebbe ad affondare), mescolare la torba con qualcosa per farla galleggiare, e sospendere l'isoletta sopra una intercapedine d'acqua, in modo che l'acqua penetri dal basso all'alto per semplice effetto di capillarita' e per la pressione dell'isoletta stessa.


 Cosa serve

Organizziamoci. La prima cosa da fare e' scegliere un posto dove mettere la nostra sfagnera. Il posto, come detto in precedenza, dovrebbe essere molto ben illuminato ma ricevere luce diretta solare solo poche ore al giorno. Un luogo tranquillo, esposto a Nordest o ad Est andra' benissimo. Se abbiamo il posto, decidiamo la dimensione della sfagnera. La dimensione della vostra sfagnera dipende da due cose. Primo, lo sfagno disponibile per la colonizzazione della nuova sfagnera. In generale, come regola a occhio, per una superficie di 10x10cm serve un bel mazzetto di sfagno, una quarantina di fibre. Regolatevi di conseguenza. Secondo l'autonomia che volete abbia la vostra sfagnera. Autonomia significa capacita' di restare priva di rabbocchi d'acqua per un certo periodo prima di essiccarsi e iniziare a morire. Normalmente una sfagnera come quella nell'immagine, costruita bene, profonda 12 centimetri, ha una autonomia ad Est di 5-10 giorni (a seconda delle condizioni meteo). Ho provato con altre misure, e per esempio una sfagnera che ho fatto con un cubo di plastica 50x50cm e profondo 40 centimetri necessita di rabbocchi si e no una volta al mese. Il problema pero' e' che piu' profondo e' il contenitore, piu' torba e perlite vi serve, e piu' pesante sara' il risultato finale, arrivando per torbiere di 100cm di lato e profonde 100cm, a pesare anche fino a una tonnellata (esatto, una tonnellata). Quindi, cautela e non esagerate.
Una volta decisa la dimensione, vediamo cosa ci serve, in dettaglio.
Cliccando sulle immagini riceverete un ingrandimento.
Un contenitore adatto (qui ho usato una lettiera per gatti, costo 9900 lire, dimensioni 50x40, profondita' 12cm), una zanzariera (qui silicone inerte, costo 3000 lire al metro quadro), un paio di forbici, pinzette lunghe, acqua da osmosi inversa (o comunque buona acqua priva di minerali), torba acida di sfagno, agriperlite (il minerale bianco che sembra polistirolo). Infine sfagno (fibre intere o teste, come si vede nell'immagine) e un paio di guanti in lattice.
Se volete provarci non siete obbligati a usare esattamente le stesse cose che vedete qui. Potete usare un contenitore a piacere, finche' e' profondo almeno 10cm, e una rete di qualsiasi tipo, finche' le maglie sono piu' piccole della dimensione della perlite. Le cose fondamentali sono una buona torba priva di addizionati, la perlite e ovviamente qualche fibra di sfagno.


 Preparazione letto

Purtroppo la parte piu' complicata e incasinata e' all'inizio, quindi rimboccatevi le maniche. Quello che vogliamo fare e' simulare un'isola di torba e sfagno che galleggia sull'acqua. Per fare cio' innanzitutto sistemiamo la zanzariera sul fondo del contenitore. Tagliamo gli angoli in diagonale e facciamo in modo che la retina sia adesa ai lati e al fondo del contenitore e che arrivi fino al bordo dello stesso, fungendo come da "fodera". State attenti che tutto l'interno del contenitore sia rivestito dalla retina e non ci siano buchi.
Successivamente, per completare il trucco dell'isola galleggiante, creiamo il fondo di perlite. La perlite e' un minerale leggerissimo che tende a galleggiare. E' talmente leggera che fa galleggiare anche una notevole quantita' di torba e sfagno.

Attenzione: la perlite e' un minerale che puo' rilasciare polveri molto fini, che, se inalate, possono causare problemi respiratori. Quando maneggiate perlite, assicuratevi di avere una mascherina davanti alla bocca e al naso, e bagnate la perlite prima di usarla in modo da fissare le polveri e non respirarle.
Sistemiamo dapprima un abbondante strato di perlite (da sola) sul fondo del contenitore, sopra la retina. Sopra a questo strato sistemiamo un secondo strato composto da meta' torba e meta' perlite, ben mescolate. Sopra a questo, sistemiamo l'ultimo strato, composto da torba pura.
Quello che dovremmo avere alla fine e' il contenitore ripieno di torba e perlite divisi in un letto a 3 strati, come si vede nella foto.
Ben inteso, nella foto il letto e' stato fatto a meta' per vederne l'interno, alla fine dovete ottenere un mantello omogeneo e tutto fatto di torba in superficie. La perlite deve restare sotto.
Al solito cliccate sull'immagine per uno zoom.
State attenti a non riempire tutto il contenitore, ma ad arrivare a 3-4 centimetri dal bordo superiore. Infatti dovete lasciare lo spazio per l'acqua che successivamente inserirete sotto alla vostra isoletta, per farla galleggiare. A questo punto la preparazione del contenitore e' terminata, quello che ci resta da fare e' varare la nostra piccola isoletta e vedere se galleggia (cacchio che emozione!)


 Idratazione letto

Dunque, adesso arriva una parte facile, ma delicata e un po' umidiccia. Procuratevi un bel po' d'acqua distillata o da osmosi inversa, e avvicinatevi minacciosi alla vostra sfagnera under construction.
Se avete fatto tutto come si deve il letto dovrebbe essere piuttosto leggero, visto che sia la perlite sia la torba secca non pesano praticamente niente. A questo punto, delicatamente scostate un lembo della retina che fodera il contenitore e tenetelo scostato, magari con l'aiuto di un bacchetto o, come qui, di un paio di pinzette.
Il concetto e' che dovete versare l'acqua sotto il letto e mai sopra, altrimenti succede un macello. Versate l'acqua tra la rete e il contenitore e non dentro la rete e la torba. L'acqua deve formare un cuscinetto all'esterno della rete, sotto e intorno al letto.
Adesso lentamente, versate l'acqua, e ogni tanto muovete il letto prendendo la retina per gli angoli e muovendola molto leggermente. Sentirete che il letto mano a mano che versate l'acqua iniziera' a galleggiare. Ok, continuate a versare acqua, sempre lentamente. In questo caso io ne ho versati 4-5 litri.
A questo punto per idratare la torba avete due possibilita'.
La prima: lasciate tutto la' per un paio di notti, rabboccando l'acqua sempre attraverso il lembo, e sempre versandola tra la rete e le pareti, e mai sulla torba.
La seconda: lentamente date dei colpetti con le mani, e a palmo aperto, sulla superficie del letto. State attenti a non premere la torba troppo o la perlite spuntera' fuori un po' dovunque. Dovete solo dare dei colpetti leggeri per aiutare l'acqua a insinuarsi dal fondo verso l'alto, idratando la torba; a seconda della torba in questo modo per la completa idratazione ci vorranno da 20 minuti a un paio d'ore.
 
Capirete d'aver finito quando la superficie della torba iniziera' a restarvi appiccicata sui guanti, e poi lentamente diventera' scura e bagnatissima (come si vede nella seconda immagine, cliccateci, al solito). Continuate a dare colpetti finche' tutta la superficie sara' completamente fradicia. A questo punto aggiungete parecchia altra acqua nell'intercapedine tra rete e contenitore fino a formare un cuscinetto d'acqua e noterete che nonostante il maggior peso, il letto di torba galleggia ancora. Aggiungete acqua finche' il letto sara' a livello con il bordo del contenitore.
Ingrandite l'immagine a destra (some sempre, cliccandoci dentro), e notate l'angolo in basso a destra del contenitore. Si puo' facilmente vedere come il letto non sia aderente al bordo del contenitore (come sembrerebbe per effetto ottico) ma sia scostato da una intercapedine d'acqua di 1-2 centimetri, attorno e sotto al letto stesso. Questa e' la situazione che dovete ottenere alla fine di questa fase.
Fatto? Perfetto, ora procediamo alla colonizzazione.



 Colonizzazione

Esistono principalmente 3 modi di colonizzare una nuova sfagnera. Ogni metodo ha i suoi pro e i suoi contro, e a seconda del tempo o del materiale in vostro possesso sarete piu' o meno obbligati a scegliere uno dei 3.
Il primo metodo, o per Trapianto, consiste semplicemente nel piantare intere fibre di sfagno nella nuova torbiera. L'immagine qui sotto si riferisce appunto a questo metodo, piuttosto semplice: si prende una manciata di sfagno adulto, gia' allungato e con fibre lunghe 5-15 centimetri. Si dividono le fibre una a una, eliminando il piede biancastro. Poi si infilano le fibre all'interno di una pinzetta lunga e si spinge la pinzetta con la fibra in profondita' nella torba, fino a far emergere solo la testa della fibra di sfagno.
Pro: le fibre si adattano benissimo e iniziano a crescere subito, e vigorosamente. Non esiste praticamente rischio di fallimento. C'e', inoltre, una notevole resistenza delle fibre appena piantate anche ad un essiccamento superficiale della nuova torbiera, visto che le fibre arrivano in profondita'.
Contro: piantare le fibre una ad una e' estremamente stancante, ed inoltre e' necessario partire da sfagno adulto e allungato, non sempre facile da trovare. Altro svantaggio, si usa tutto lo sfagno "sorgente" e quindi si lascia un buco nella torbiera da cui quest'ultimo e' stato preso.
Il secondo metodo, o per Diaspore consiste invece nello spargere sulla superficie della torbiera una gran quantita' di diaspore, cioe' teste di sfagno prive di fusto. Basta quindi avere gia' dello sfagno formante teste complete, tagliare queste teste e spargerle sulla superficie, vaporizzare con un po' d'acqua a getto molto fine, e il gioco e' fatto.
Pro: di facile realizzazione; inoltre, si usa solo la testa dello sfagno di partenza, a cui viene lasciato il fusto, che puo' quindi, in un paio di settimane, generare una nuova testa e rigenerarsi.
Contro: le diaspore, nelle prime settimane, o primo paio di mesi, sono molto delicate e hanno bisogno di stare costantemente sedute su un velo d'acqua, quindi la sfagnera deve sempre essere piena d'acqua e possibilmente vaporizzata molto spesso. Al primo accesso di essiccamento, le diaspore muoiono. Con il tempo, lo sfagno crescendo diventera' piu' robusto, ma sara' comunque piu' esposto al rischio di essiccamento che non con il primo metodo (a meno che, di tanto in tanto, non prendiate le fibre piu' lunghe e le spingiate in profondita' nella torba a mano a mano che crescono).
Il terzo metodo, o per rigenerazione sfrutta la tendenza dei fusti e delle teste di sfagno a rigenerarsi in gran numero se sminuzzati finemente. La seconda immagine, qui sotto, si riferisce appunto a questo sistema. Basta prendere delle fibre di sfagno, non importa se adulte o meno, basta che siano verdi, e tritarle finemente con una forbice. Poi si sparge il tutto sulla superficie della sfagnera fino a comporre un tappeto uniforme di 1-2 centimetri e si vaporizza finemente, per 4-5 settimane.
Nella foto io ho usato tutte le fibre, piedi compresi, e la resa e' di solito buona. Se volete una resa eccellente, escludete i piedi e usate solo teste e fusti. Sappiate pero' che cosi' vi serve circa il triplo di materiale di partenza.
Pro: sistema molto semplice. Il vantaggio piu' consistente e' dato dal numero di nuove teste che si formano. I cuscini di sfagno ottenuti sono molto piu' compatti e densi che non con gli altri 2 sistemi.
Contro: ha gli svantaggi dei primi 2 metodi insieme, cioe' si usa tutto lo sfagno di partenza, e i minuscoli frammenti sono molto sensibili alla disidratazione e richiedono una umidificazione quasi continua.
Nella foto (al solito, cliccateci per uno zoom), a sinistra lo sfagno di partenza, perfetto e ben formato. Al centro, lo sfagno di partenza dopo essere stato sminuzzato.
A destra, invece, l'aspetto di un tappeto ottenuto per rigenerazione dopo alcune settimane. Si vedono parecchie teste di sfagno, di dimensioni diverse, crescere e moltiplicarsi, in maniera un po' confusa, ma con il tempo formano cuscini di sfagno perfetti e molto corposi e addensati.



 Risultati

Qui vediamo e commentiamo alcune delle sfagnere che ho fatto negli ultimi anni seguendo questa tecnica.
Qui a sinistra l'ultima sfagnera che ho fatto, appena 4 settimane fa.
E' stata fatta con un contenitore bianco a lettiera per gatti identico a quello usato in tutta la pagina. Colonizzata per diaspore. Come si vede l'acqua arriva fino al livello del terreno appunto per permettere alle diaspore di non soffrire il caldo e la siccita'. Al centro si vede una talea di Dionaea muscipula 'green giant'. Nella torbiera ci sono una quindicina di popolazioni diverse di plantule di Sarracenia da seme alte pochi millimetri (si vedono solo i cartellini, rossi, parzialmente visibili), e diverse talee di radice di Drosera hamiltonii.
Da notare che nella foto alcune teste di sfagno (quelle vicine al bordo destro) hanno le teste parzialmente nere. Questo fenomeno (Annerimento dello sfagno) si verifica quasi sempre quando si pianta una fibra di sfagno nella torba. E' dovuto all'assorbimento dell'acqua della torba (scura) da parte delle fibre di sfagno. L'acqua poi evaporando dalle teste lascia depositi nerastri. Per pulire le fibre di sfagno basta vaporizzarle energicamente e il nero si scioglie e scompare. Quando le diaspore crescono e si allungano questo fenomeno tende a diminuire d'intensita' fino a scomparire.
Qui invece diverse sfagnere piu' vecchie. Quella piu' a destra, sempre in una lettiera per gatti, e' stata fatta circa 6 settimane fa, e colonizzata sempre a diaspore.
Le altre sono a fibre integrali e hanno il difetto di essere in contenitori troppo poco profondi. In quella quadrata si possono vedere alcune aree piu' "povere": e' dove ho preso le teste di sfagno per le due sfagnere a diaspore. Come si vede, i fusti rimasti stanno rigenerando delle nuove teste e ricominciando a crescere. In qualche altra settimana la sfagnera si ricompattera' e si ricoprira' di nuovo di teste verdi, come quella sotto.
Infine, un esempio di una sfagnera andata incontro ad un disastro ambientale. La torbiera e' stata costruita piu' di tre anni fa, con un letto di torba di pochi centimetri e colonizzata per rigenerazione. In tre anni, come si puo' vedere dalla forma, aveva costruito addirittura una collina alta 10 centimetri. Purtroppo durante un viaggio e' stata lasciata a secco (e al sole d'Agosto) per 20 giorni e le fibre sono morte senza possibilita' di recupero.
Come si vede, pero', il "cadavere" della sfagnera e' ancora utilizzabile, ed infatti continuo ad usarlo come "nursery" per le mie piccole Sarracenie. Ce ne sono a decine e decine, e sono tutte, come si puo' vedere, in ottima salute. Lungo i bordi ci sono tante altre piante, tutte nate da talea di foglia: Drosera binata, D. capensis, D. rotundifolia, D. capillaris, D. aliciae, Dionaea muscipula... Le macchiette verdi vicine ai cartellini rossi sono gruppi di piantine di Sarracenia da seme a centinaia. Le Sarracenie piu' grandi invece, sono state tutte prodotte per talea da rizoma, e lasciate in questa sfagnera fino allo sviluppo di radici.
Immaginatevi cos'era prima di essiccarsi ed appassire.



 Conclusioni

Ok, questo e' tutto. Non e' molto, ed e' scritto in un linguaggio sicuramente poco scientifico, che pero' dovrebbe permettere a qualsiasi persona, esperta o meno di sfagno, di riuscire a realizzare una sfagnera per coltivare questo elemento cosi' prezioso nella coltivazione di piante carnivore.
Personalmente vi consiglio di iniziare con una sfagnera piccola, 40x50 o simili, profonda 10-15 centimetri. Piu' in avanti, se volete provare a coltivare anche delle piante notevoli direttamente in una sfagnera profonda (tipo Sarracenia), potete usare secchi di medie dimensioni e box di plastica profondi anche 50-60 centimetri... vedrete come esploderanno le vostre piante. Oltretutto, una volta capito il meccanismo e imparato a conoscere lo sfagno, sbizzarritevi, inventate qualcosa di nuovo e poi riferitelo a me o in lista, cosi' arricchiremo questa pagina.
Un altro consiglio: se e quando andate in natura a compiere escursioni presso torbiere non interrate (cioe' ancora con ampio manto acquoso sottostante) state sempre attentissimi a dove mettete i piedi e non lasciatevi tradire dall'emozione di vedere un bel cuscino di sfagno rosso brillante, bello come un rubino, magari galleggiante sopra a 10 metri di limo e torba fangosa. Quindi, ocio!

Come ultimissime parole vorrei lasciarvi la solita, paternalistica, antipatica raccomandazione:
Lo sfagno, come molti altri organismi vegetali, e' in via di scomparsa dai nostri territori. Cio' nonostante esistono in Italia alcune piccole sfagnere naturali ancora verdi. Purtroppo i ritmi di crescita dello sfagno in natura lo rendono lento e delicato, ma fondamentale per l'ecosistema della torbiera e del bosco a terreno acido. Rispettatelo e non arraffate badilate di sfagno solo per farvelo morire per incuria o inesperienza pochi mesi dopo... scempio oltretutto inutile visto che lo sfagno preso in alta montagna difficilmente si adatta al clima di pianura. Se proprio dovete, prendete solo un paio di manciate di teste lasciando intatti i fusti. Meglio ancora, fatevene spedire un po' da qualcuno che lo coltivi (chiedete a me o ad altri), imparate ad coltivarlo con successo, e spargetelo a vostra volta tra gli appassionati. Imparare e fare questo (e non tante chiacchiere fumose) costituira' un vero esempio di salvaguardia ambientale e di esempio di rispetto ecologico.

Se avete domande, o se trovate errori di qualsiasi tipo, scrivetemi, e...
buona coltivazione!

 
         
  Pagina aggiornata al:
16 Novembre 1999.
 
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